Le tecniche di pesca distruttive e i rigetti

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00lunedì 18 giugno 2012 14:07
Grazie per la segnalazione (Mikemike)
Le tecniche di pesca distruttive e i rigetti

Più gli stock di pesce diminuiscono, più le tecniche di pesca si fanno estreme.

Quando si parla di tecniche di pesca distruttive, si fa riferimento alla devastazione dei fondi marini causata dalla pesca a strascico, ai rigetti (bycatch), all’impiego di veleni ed esplosivi e alla pesca fantasma.

Per le tecniche universalmente riconosciute come distruttive, non esiste altra soluzione che il divieto. Chi le utilizza deve essere punito con severità. Le legislazioni nazionali hanno identificato e proibito molte di queste pratiche. Tuttavia, per le navi-industrie che generano profitti ingenti e i piccoli pescatori che devono far fronte alla diminuzione degli stock ittici, la tentazione di infrangere la legge è molto forte.

È chiaro che più le imbarcazioni sono grandi e dotate di mezzi potenti, più devastante è l’impatto delle tecniche di pesca illegali.

La pesca a strascico

Una delle tecniche più dannose è la pesca a strascico, un metodo industriale basato sull’utilizzo di enormi reti zavorrate da pesanti carichi e dotate di ruote metalliche, che raschiano i fondi marini, rastrellando (e distruggendo) tutto ciò che trovano lungo il loro percorso, dai pesci fino ai coralli centenari.

Molte specie, anche in via di estinzione, sono raccolte senza ragione e poi rigettate in mare, spesso già morte. Queste perdite “collaterali” (bycatch) raggiungono, in certi casi, l’80% o perfino il 90% del pescato. Per di più, ampie superfici sul fondo degli oceani, che costituiscono l’habitat dove i pesci trovano cibo e protezione, vengono schiacciate e distrutte. Le reti più grosse utilizzate nella pesca a strascico hanno una “bocca” grande quanto un campo da rugby e lasciano cicatrici marine lunghe più di 4 km. Le ferite inferte all’ecosistema possono essere permanenti. La pesca a strascico, inoltre, lascia in sospensione sedimenti (a volte tossici) responsabili di una torbidità dell’acqua sfavorevole alla vita. Questo genere di pesca cancella le caratteristiche naturali dell’ambiente che in condizioni normali permettono agli animali marini di vivere, riposarsi, nascondersi.

Spesso utilizzata dalle navi industriali nelle acque d’alto mare (libere), a volte regolamentata nelle acque territoriali, questa pratica, accusata di avere fortemente contribuito alla sovrappesca, dimostra in maniera lampante che manca una gestione globale del settore.

Gli ecosistemi dei grandi fondi marini sono caratterizzati da un’eccezionale biodiversità. Gli studi scientifici degli ultimi venticinque anni hanno permesso di identificare ambienti marini ricchissimi al di là dei 400 metri, fino a 2000 metri e più di profondità. Nonostante l’assenza quasi totale di luce, la forte pressione e le correnti debolissime, nelle acque profonde si trovano numerose specie. Questi pesci, che vivono in condizioni estreme, hanno una crescita molto lenta, una speranza di vita assai lunga e un’età di riproduzione tardiva; sono particolarmente vulnerabili a perturbazioni del loro ambiente. Gli ecosistemi marini a rischio non sono solo quelli dell’alto mare: anche la pesca a strascico sui monti sottomarini e sui ripidi pendii del margine continentale, al confine della piattaforma, provoca gravi danni.

La comunità scientifica e molte Ong chiedono una moratoria internazionale per proteggere i fondi marini dell’alto mare dalla pesca a strascico. Allo stato attuale, gli sforzi dei governi in questo senso sono insignificanti.

I rigetti (bycatch)

Uno degli aspetti più importanti e scandalosi del degrado degli oceani.

Si chiamano rigetti tutte le forme di vita marina pescate diverse dalle prede intenzionali. Sono “scarti”, comprendono gli esemplari della specie ricercata la cui taglia non è conforme, più altre specie che non si mangiano o non hanno mercato, specie vietate o a rischio d’estinzione, come certi uccelli, le tartarughe e i mammiferi marini. Alcuni pesci sono rigettati unicamente perché il peschereccio non ha la licenza per portarli a terra, perché non c’è spazio sull’imbarcazione o perché non sono della specie che il capitano ha deciso di catturare. Tutti, e parliamo di MILIONI DI TONNELLATE di pesce, sono rigettati in mare, morti o feriti.

Un recente rapporto del WWF stima che i rigetti siano il 40% del totale del pescato e precisa che in molti casi si tratta di esemplari giovani. È facile comprendere le drammatiche conseguenze sulla capacità delle specie di riprodursi e rigenerare gli stock.

Al di là della pressione sulle specie, si tratta di uno spreco enorme di cibo, sia per il consumo umano, sia per quello dei predatori marini.

Inoltre, gli specialisti sottolineano che mentre le navi da pesca industriali rigettano ogni anno MILIONI DI TONNELLATE di pesce non desiderato, la pesca artigianale ne rigetta molto poco.

I veleni e gli esplosivi

L’impiego di veleni per uccidere o stordire il pesce è molto diffuso, in mare così come in acqua dolce, comprese le lagune costiere e le barriere coralline. La pesca al cianuro, per esempio, si pratica dalle scogliere decimate e devastate delle Filippine – dove si calcola che siano versate 65 tonnellate di cianuro all’anno – fino a quelle isolate a est dell’Indonesia e in altri paesi del Pacifico occidentale. In molti luoghi l’uso di veleni nella pesca è una tecnica tradizionale, ma gli effetti negativi si sono accentuati da quando alle sostanze di origine vegetale si sono sostituiti pesticidi chimici. I veleni uccidono tutti gli organismi dell’ecosistema, tra cui i coralli che formano le barriere.
Anche l’uso degli esplosivi esiste da secoli ed è in espansione. Le esplosioni possono produrre crateri molto grossi, che devastano dai 10 ai 20 m2 di fondo marino. Non uccidono solo i pesci ricercati, ma anche la fauna e la flora circostanti. Nelle scogliere coralline la ricostruzione degli habitat danneggiati richiede decenni. Gli esplosivi sono facilmente reperibili e a buon mercato. Spesso provengono dall’industria mineraria o edilizia. In molte regioni si estraggono esplosivi da vecchie munizioni recuperate da guerre del passato o conflitti in corso. Altrove, i pescatori se li procurano attraverso il traffico illegale d’armi.

La pesca fantasma

Per pesca fantasma s'intende l’abbandono in acqua, in genere accidentale (ma a volte volontario), di reti e altro materiale, che continuano a catturare inutilmente pesci, molluschi, ma anche grandi mammiferi marini che muoiono per sfinimento dopo ore di lotta per risalire in superficie a respirare. Il problema delle attrezzature abbandonate o perse è amplificato dall’intensificarsi delle operazioni di pesca e dall’introduzione di equipaggiamenti prodotti con materiali sintetici resistenti.

fonte
www.slowfood.it
ture2671
00martedì 19 giugno 2012 10:52
io ci aggiungerei anche i ciancioli, guardate che combinano questi in una sola cala!!!!

si non arriva a distruggere gli ambienti come lo strascico, ma in un attimo desertifica una secca... e non c'è limite a quello che possono prendere!!!!
pidici75
00martedì 19 giugno 2012 11:11
Re:
ture2671, 19/06/2012 10.52:

io ci aggiungerei anche i ciancioli, guardate che combinano questi in una sola cala!!!!

si non arriva a distruggere gli ambienti come lo strascico, ma in un attimo desertifica una secca... e non c'è limite a quello che possono prendere!!!!




solo una parola:
vergognoso! [SM=g2516191]
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