LA TUTELA DELL’AMBIENTE MARINO

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COSIMO82
00giovedì 30 luglio 2009 23:27


LA TUTELA DELL’AMBIENTE MARINO





1. Premessa. Cenni sull’evoluzione della normativa internazionale in materia di ambiente. - 2. Recente entrata in vigore della Convenzione di Montego Bay. - 3. Le varie forme d’inquinamento disciplinate dalla Convenzione di Montego Bay. - 4. Responsabilità degli Stati in materia di lotta all’inquinamento e di protezione dell’ambiente. - 5 L’impiego di tecniche di telerilevamento di aree marine inquinate. - 6. Conclusioni.











1. Premessa. Cenni sull’evoluzione della normativa internazionale in materia di ambiente.



E’ in una fase relativamente recente che il problema della protezione internazionale dell’ambiente marino ha cominciato a presentarsi in maniera sempre più evidente all’attenzione degli operatori giuridici, sia di diritto interno che di diritto internazionale.



Infatti l’esigenza di affrontare la questione della tutela del mare da varie forme d’inquinamento si é posta di pari passo con il processo di industrializzazione ed ha spinto gli Stati ad adottare una serie di convenzioni internazionali, stipulate a partire dagli anni cinquanta, sia nella forma di convenzioni a carattere settoriale, che in quella di convenzioni di carattere regionale[1].



Tra le convenzioni a carattere essenzialmente settoriale, che si limitano a disciplinare taluni tipi di inquinamento, va citata la Convenzione per la preservazione delle acque del mare dall’inquinamento da idrocarburi, adottata a Londra il 12 maggio 1954[2] e la Convenzione sulla responsabilità civile degli esercenti di navi nucleari, firmata a Bruxelles il 25 maggio 1962. Altre riguardano la protezione dell’ambiente marino con riferimento a determinate zone di mare, come l’accordo concernente la cooperazione in materia di lotta contro l’inquinamento da idrocarburi delle acque del mare del Nord, firmato a Bonn il 9 giugno 1969.



Si é venuta così intessendo tutta una rete di accordi regionali: Convenzione di Copenaghen per l’inquinamento del Mare del Nord da idrocarburi (16 settembre 1971); Convenzione di Oslo sulla prevenzione dell’inquinamento per scarico da navi ed aerei (15 febbraio 1972) in vigore fra più di dieci paesi europei; Convenzione di Parigi per inquinamenti della terraferma (4 giugno 1975); oltre a tutta una serie di accordi bilaterali, come quelli che l’Italia ha concluso con la Jugoslavia (14 febbraio 1974 e 10 novembre 1975) o con la Francia e il Principato di Monaco (10 maggio 1976).



Sul piano regionale il modello più interessante é quello offerto dalla Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo[3].



Nelle stesse Convenzioni di Ginevra del 1958 é possibile rilevare il medesimo approccio alla questione della tutela del mare. Infatti, soltanto nella Convenzione sull’alto mare si rinvengono due articoli sull’inquinamento: uno, l’art. 24, relativo all’inquinamento da idrocarburi e l’altro, l’art. 25, relativo all’inquinamento causato dall’immissione di scorie radioattive.



Entro tali ambiti queste convenzioni internazionali non si occupano del profilo della responsabilità internazionale dello Stato mentre si limitano a fissare una serie di obblighi reciproci e bilaterali per gli Stati contraenti sulla base della contrapposizione tra interessi dello Stato della bandiera ed interessi dello Stato costiero.



Negli anni settanta, si assiste però ad un profondo mutamento causato, da una parte, dal verificarsi dei gravi incidenti della Torrey Canyon nel 1967 e dell’Amoco Cadiz nel 1978 e, dall’altra, da una sensibilizzazione a livello giuridico sul problema dell’ambiente. Quest’ultima si manifesta nella Dichiarazione di principi adottata dalla Conferenza sull’ambiente umano di Stoccolma del 1972[4], nella Risoluzione 3133 (XXVIII), relativa alla protezione dell’ambiente marino, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 1973; nell’art. 30 della Risoluzione 3281 (XXXIX), contenente la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 1974 e nell’art. 19 della Prima parte del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati, approvata in prima lettura soltanto nel 1980.



Questo mutamento di tendenza influisce sulle successive convenzioni internazionali. Esse, infatti, attribuiscono maggior rilievo alla questione della responsabilità internazionale degli Stati per l’inquinamento marino, anche se in taluni casi, si limitano soltanto a ripetere le formule contenute nei princìpi nn. 21 e 22 della Dichiarazione di Stoccolma del 1972[5] .







2. Recente entrata in vigore della Convenzione di Montego Bay.



La tutela del mare da varie forme di inquinamento ha recentemente trovato disciplina nelle disposizioni codificate dalla III Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, contenute nella Convenzione aperta alla firma a Montego Bay il 30 aprile 1982[6]. Il tema della «protezione e preservazione dell’ambiente marino» é oggetto della XII parte della Convenzione e comporta 46 articoli ripartiti in undici sezioni[7]. Le prime quattro enunciano gli obblighi che si impongono a tutti gli Stati e, fra questi, quelli di adottare le misure idonee a prevenire, ridurre o controllare l’inquinamento ed il dovere di informare gli Stati suscettibili di essere interessati da un inquinamento marino. La sezione quinta disciplina i diversi obblighi che si propongono allo Stato costiero in relazione alle diverse forme di inquinamento. Di regola, la giurisdizione ed i poteri di quest’ultimo sono esclusivi, salvo la concorrente competenza dello Stato di bandiera e dell’istituenda Autorità internazionale dei fondi marini per quanto attiene alla zona internazionale. In tema di inquinamento da navi, lo Stato di bandiera ha l’obbligo di adottare una regolamentazione avente almeno lo stesso grado di efficacia di quella elaborata dall’organizzazione internazionale competente (OMI). Ciò significa che al di là delle acque territoriali la sola regolamentazione applicabile é quella internazionale. La Convenzione regola inoltre le misure per facilitare l’esercizio dei poteri di polizia e controllo (sezione settima), i diritti degli Stati costieri sulla banchisa (sezione ottava), i profili di responsabilità (nona), l’esclusione dal campo di applicazione della normativa delle navi da guerra o di quelle statali utilizzate per fini diversi da quelli commerciali (decima); infine, la sezione undicesima prende in esame gli obblighi discendenti da altri strumenti internazionali con gli obiettivi ed i princìpi generali della Convenzione sul diritto del mare.



La nozione di convenzione «quadro» (o «cornice»), che nei suoi confronti é stata dalla dottrina suggerita,[8] non assume il significato di atto che organicamente enuncia una serie di princìpi destinati a trovare una specificazione in una successiva normativa di dettaglio.



Al contrario, come avremo modo di vedere più avanti, la Convenzione di Montego Bay contiene una normativa «quadro» nel senso che l’atto forma una sorta di cornice, riprendendo e indirizzando regole che precedenti convenzioni multilaterali[9] avevano già posto in essere.



3. Le varie forme d’inquinamento disciplinate dalla Convenzione di Montego Bay.



Per inquinamento marino si intende l’immissione diretta od indiretta ad opera dell’uomo di sostanze o di energia nell’ambiente marino, quando ciò comporti effetti nocivi sulle risorse biologiche, rischi per la salute dell’uomo, intralci alle attività marittime, ivi compresa la pesca, l’alterazione delle qualità del mare dal punto di vista delle sue utilizzazioni, e la degradazione delle sue attrattive.



Il fondamentale principio della protezione e preservazione dell’ambiente marino ha trovato puntuale affermazione nella disciplina della Convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare che, all’art. 192, pone a carico degli Stati «l’obbligo di proteggere e preservare l’ambiente marino».



La nuova codificazione del diritto del mare, da un lato, come già detto, costituisce la normativa quadro in cui andranno ad inserirsi le normative specifiche contenute nelle varie convenzioni settoriali e regionali; dall’altro appresta le disposizioni di carattere generale relative ai contenuti delle legislazioni regionali e nazionali in tema di protezione dell’ambiente marino.



La Convenzione in rassegna statuisce l’obbligo degli Stati contraenti di adottare leggi e regolamenti, al fine di prevenire, ridurre e sorvegliare l’inquinamento marino, in relazione alle varie tipologie di fonti inquinanti.



Dopo lunghi negoziati, sono state, difatti, individuate e definite le seguenti cause di inquinamento del mare:



- inquinamento da fonti terrestri;



- inquinamento provocato da attività relative al fondo marino soggette alla giurisdizione nazionale;



- inquinamento da attività condotte nell’Area;



- inquinamento da immissione (dumping);



- inquinamento provocato da navi;



- inquinamento di origine atmosferica e transatmosferica.



Esaminiamo brevemente la succitata casistica.



3a Inquinamento da fonti terrestri.



La questione dello scarico dei residui da terra è molto più complessa rispetto a quello proveniente da navi e da installazione in mare.



L’inquinamento di origine terrestre, dovuto in particolare allo scarico dei fiumi, degli impianti industriali costieri od emissari, o da altre fonti situate sul territorio degli Stati determina, invero, aspetti e problematiche tecnico-giuridico complesse, soprattutto in riferimento alla regolamentazione di tali fonti di scarico, ed all’assenza di omogeneità nelle condizioni di sviluppo economico e sociale dei diversi Stati.



L’art. 207 della Convenzione pone a carico dei singoli Stati l’obbligo di emanare norme legislative atte a prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento che possa avere origine terrestre, ivi inclusi fiumi, estuari, condutture e installazioni di scarico.



In tale ambito, gli Stati terranno in debito conto le specificità regionali, le potenzialità economiche degli Stati in via di sviluppo e le loro esigenze di sviluppo economico[10].



3b Inquinamento provocato da attività relative al fondo marino soggette alla giurisdizione nazionale.



Le attività di ricerca e coltivazione delle risorse minerarie marine svolte nelle zone del fondo marino sottoposte alla giurisdizione dei singoli Stati, ossia nel mare territoriale e nella piattaforma continentale, possono determinare sia un inquinamento volontario, connesso al normale funzionamento degli impianti e previsto dagli operatori, come, a titolo di esempio, lo scarico in mare dei detriti e dei fanghi oleosi prodotti dalla perforazione, sia un inquinamento accidentale, derivante da eventi straordinari e non prevedibili, quale ad esempio una esplosione a bordo di una piattaforma petrolifera.[11]



A tal proposito l’art. 208 della Convenzione di Montego Bay prevede che gli Stati rivieraschi adottino leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento delle aree del fondo marino soggette alla loro giurisdizione.



Tali norme legislative e regolamentari non debbono avere minore efficacia di quelle stabilite a livello internazionale[12] .



A livello regionale, il Protocollo sull’inquinamento risultante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, il fondo marino ed il sottosuolo, firmato a Madrid nel 1994, che si inquadra nel cosiddetto «sistema di Barcellona», contiene una normativa che permette il controllo e la prevenzione di eventuali azioni dannose dell’attività di sfruttamento, e che obbliga gli Stati aderenti ad approntare i dispositivi necessari per la eliminazione delle cause di inquinamento.



3c Inquinamento da attività condotte nell’Area.



Il termine «Area» sta ad indicare il fondo ed il sottosuolo dei mari e degli oceani, oltre i limiti di giurisdizione nazionale, proclamati dalle Nazioni Unite «patrimonio comune dell’umanità»[13].



Questo nuovo istituto, contenuto nella parte IX della Convenzione, disciplina accuratamente l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse minerarie solide, liquide e gassose, ivi compresi i noduli polimetallici[14].



Ciò che rende particolarmente significativo parlare di protezione dell’ambiente marino e di responsabilità internazionale degli Stati, con riferimento all’inquinamento dovuto all’esplorazione ed allo sfruttamento dei fondali marini internazionali, é il fatto che essi si trovano oltre il limite della zona economica esclusiva e quindi della giurisdizione statale; su di essi, infatti, si estende l’alto mare o mare libero.



La Convenzione di Montego Bay ha elaborato un sistema di sfruttamento di tali spazi caratterizzato dalla creazione di una apposita organizzazione internazionale: l’Autorità internazionale dei fondali marini, la quale é competente a gestire le risorse di tali aree situate oltre il limite della giurisdizione statale, avvalendosi di un suo apposito organo, costituito per tale scopo: l’Impresa[15].



In relazione alle attività di sfruttamento del letto e sottosuolo marino posti oltre la giurisdizione degli Stati, la citata Autorità adotterà misure regolamentari idonee ad evitare che le predette attività possano cagionare effetti nocivi sull’ambiente marino.[16]



Anche sui singoli Stati incombe, in virtù dell’art. 209, l’obbligo di dettare norme legislative aventi lo scopo di prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento che possa risultare dalle attività di sfruttamento dei fondi marini internazionali condotte da proprie navi o installazioni.



3d Inquinamento da immissione.



L’inquinamento dovuto alle operazioni di scarico volontario effettuato dalle navi o dagli aeromobili, il cosiddetto dumping, si caratterizza rispetto alla tipologia che vedremo in seguito, vale a dire l’inquinamento prodotto da navi, in quanto deriva dalla immissione volontaria in mare di rifiuti prodotti a terra e non di rifiuti derivanti dalle attività connesse alla navigazione.



Si può citare, a titolo esemplificativo, il caso della nave (o dell’aeromobile) adibita allo smaltimento in mare di rifiuti tossici prodotti da industrie localizzate a terra.



Sul piano universale, la forma di inquinamento in esame é oggetto di apposita regolamentazione operata dalla Convenzione di Londra del 1972 per la prevenzione dell’inquinamento da scarico di rifiuti e di altre sostanze.



Sul piano regionale, invece, vige il citato Protocollo per la prevenzione dell’inquinamento del Mar Mediterraneo da operazioni di immersione effettuate da navi ed aeromobili, adottato a Barcellona il 16 febbraio 1976 (emendato a Barcellona il 10 giugno 1995).



Sia la Convenzione di Londra che il Protocollo di Barcellona, distinguono le sostanze nocive in tre categorie, per la prima delle quali vige un divieto assoluto di scarico,[17] mentre per la seconda occorre un’autorizzazione speciale,[18] e per la terza é sufficiente un’autorizzazione generale[19].



L’art. 210 della Convenzione di Montego Bay prevede che ogni Stato adotti atti normativi per la prevenzione dell’inquinamento da dumping, diretti in particolare a garantire che nessuna immissione di rifiuti possa essere effettuata in mare senza l’autorizzazione delle competenti autorità nazionali.



Le disposizioni legislative e regolamentari in parola debbono avere efficacia non inferiore rispetto alla normativa a carattere mondiale.



E’ altresì previsto che l’immissione di sostanze nocive nel mare territoriale, nella zona economica esclusiva o sulla piattaforma continentale sia subordinata al consenso preventivo ed esplicito dello Stato costiero.



3e Inquinamento provocato da navi



Il tipo di inquinamento in esame é quello risultante dal versamento in mare di sostanze nocive, involontariamente od a seguito di incidenti, in connessione con l’attività di navigazione.



Invero, tale forma di inquinamento può assumere aspetti di particolare gravità nel caso di navi esercenti il trasporto di materiale nocivo, quali idrocarburi o prodotti chimici.



Com’é noto, é invalsa la prassi di effettuare lo scarico in mare delle acque utilizzate per il lavaggio delle cisterne o per zavorra, che possono contenere la presenza di sostanze altamente inquinanti.



Sul piano generale, la Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento del mare da idrocarburi, conclusa a Londra nel 1954 e la Convenzione di Londra del 2 novembre 1973 per la prevenzione dell’inquinamento da navi (denominata MARPOL), sostitutiva della precedente, contengono norme dirette alla lotta contro tale forma di inquinamento[20].



Attesa la dettagliata regolamentazione degli standards di carattere tecnico volti alla prevenzione, riduzione e controllo dell’inquinamento da navi operata dalla MARPOL, la Convenzione di Montego Bay, all’art. 211, si é limitata a porre a carico di ogni Stato l’obbligo di adottare leggi e regolamenti per prevenire l’inquinamento del mare da parte delle navi che inalberano la loro bandiera, o da essi immatricolate, la cui efficacia non sia inferiore rispetto alle regole e norme accettate a livello internazionale.



Accanto a tale obbligo dello Stato di bandiera, la Convenzione in argomento prevede in capo ad ogni Stato costiero il potere di emanare regole antinquinamento quali condizioni di accesso ai propri porti e acque interne, e norme per la prevenzione dell’inquinamento da navi applicabili entro il mare territoriale: tali norme non devono comunque pregiudicare il diritto di passaggio inoffensivo delle navi straniere.



Un aspetto innovativo delle Convenzione é quello secondo cui lo Stato rivierasco può adottare norme sulla prevenzione dell’inquinamento valevoli per la propria zona economica esclusiva, purchè siano conformi e diano applicazione alle regole e norme internazionali generalmente accettate.



Per ciò che concerne l’attuazione coercitiva delle disposizioni normative interne e delle regole internazionali sulla prevenzione dell’inquinamento da navi, quali il fermo e l’ispezione di navi nonché l’instaurazione di procedimenti giudiziali, la competenza spetta, in via generale, allo Stato di bandiera.



Una competenza concorrente é attribuita, in relazione alle violazioni compiute nel mare territoriale e nella zona economica esclusiva, allo Stato costiero ed allo Stato del porto.



3f Inquinamento di origine atmosferica e transatmosferica.



Riguardo a questo specifico tipo d’inquinamento, la normativa, sia consuetudinaria che pattizia, ha mosso le premesse dalla nota sentenza arbitrale concernente il caso della Fonderia di Trail,[21]esaminata nella parte iniziale del presente scritto.



A livello universale, la disciplina dell’inquinamento atmosferico si ricava indirettamente da accordi internazionali sul regime dello spazio extra atmosferico nonché da accordi internazionali sull’inquinamento da radioattività[22]



L’art. 212 della Convenzione di Montego Bay pone a carico degli Stati l’obbligo di adottare misure normative aventi lo scopo di ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento marino di origine atmosferica o transatmosferica.







4. Responsabilità degli Stati in materia di lotta all’inquinamento e di protezione dell’ambiente.



Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, é possibile fissare taluni punti in materia di responsabilità internazionale di Stati per inquinamento marino.



La prima generazione delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell’ambiente marino, stipulate intorno agli anni cinquanta e sessanta, non disciplina i profili della responsabilità occupandosi soltanto dei diritti ed obblighi reciproci e sinallagmatici degli Stati: l’espediente, utilizzato, in tale fase, é quello di trasferire la responsabilità dello Stato all’operatore, in quanto non risulta sempre agevole collegare ad uno Stato la responsabilità per danno cagionato da inquinamento.



I catastrofici incidenti marittimi verificatisi nel corso degli anni hanno determinato, invece, un interesse superiore della Comunità internazionale alla preservazione dell’ambiente marino, con specifico riferimento alla responsabilità per inquinamento.



Da ciò deriva la stipula delle Convenzioni internazionali in materia di responsabilità degli Stati, dette anche di «seconda generazione».



In tale fase siamo di fronte a previsioni definite dalla dottrina e dalla pratica anglosassoni come «responsability» nel senso che viene imposto un obbligo di vigilanza e controllo degli Stati, mediante i rispettivi ordinamenti interni, in grado di assicurare la tutela, preventiva e repressiva, dell’ambiente marino contro l’inquinamento.



Manca però la previsione di una vera e propria responsabilità, vale a dire l’obbligo di risarcire il danno provocato, la cosiddetta «liability».



La Convenzione di Montego Bay prevede invece, genericamente, accanto alla responsabilità internazionale dello Stato, anche la responsabilità dell’operatore, realizzando, quindi, uno spostamento «della responsabilità dall’ordinamento internazionale all’ordinamento statale, cioè dal livello dello Stato a quello dell’armatore o, comunque, della società armatrice che ha provocato il danno, obbligando gli Stati ad adottare nei rispettivi ordinamenti interni le norme corrispondenti»[23].



Più in particolare, mentre l’art. 192 prevede espressamente l’obbligo che tutti gli Stati hanno di preservare e proteggere l’ambiente marino, l’art. 235, nell’occuparsi della loro responsabilità internazionale, si limita ad affermare che gli Stati devono controllare che vengano adempiuti i loro obblighi internazionali in materia di protezione e preservazione dell’ambiente marino, altrimenti essi sono responsabili ai sensi del diritto internazionale.



Siamo quindi di fronte ad una norma primaria, che pone un obbligo, e di una norma secondaria che prevede la conseguente responsabilità nel caso di mancata osservanza del suddetto obbligo. La peculiarità di tale previsione consiste nel fatto che la norma secondaria é priva di contenuti, in quanto rinvia al diritto internazionale generale.



Si tratta, quindi, di rinvio mobile attraverso il quale i contenuti della fattispecie «responsabilità» si modificano in relazione alle modificazioni che subiscono le norme del diritto internazionale generale in materia di responsabilità internazionale degli Stati[24].



Sotto tale profilo, l’art. 235 della Convenzione di Montego Bay, nell’evidenziare che l’ambiente marino é un bene indivisibile e limitato, contribuisce a creare un fondamentale presupposto giuridico per lo svilupparsi, nel campo del diritto internazionale, di una responsabilità verso l’intera Comunità internazionale nel caso di violazione delle norme poste a tutela dell’ambiente marino[25].



Nella sua lapidarietà, la formulazione dell’articolo in esame non giunge a prevedere un obbligo di vera e propria riparazione, ossia di responsabilità oggettiva per danni arrecati all’ambiente marino, in virtù della quale qualsiasi danno collegabile all’attività espletata dallo Stato comporti, di conseguenza, l’obbligo di riparazione da parte di quest’ultimo.







5. L’impiego di tecniche di telerilevamento di aree marine inquinate.



A margine del presente scritto, va evidenziata la particolare attenzione che la Guardia di Finanza ha da sempre posto nella tutela dell’ambiente, ed in particolar modo, di quello marino, attesa la sua secolare vocazione marittima.



Il Corpo dispone di mezzi aeronavali caratterizzati da avanzata tecnologia che, oltre ad assicurare la vigilanza in mare per fini di polizia finanziaria e di repressione dei traffici illeciti (contrabbando di t.l.e., sostanze stupefacenti, armi, immigrazione clandestina e così via), quando necessario, trovano proficua utilizzazione sul fronte della tutela dell’ambiente.



In particolare, il P. 166 DL3, aeromobile normalmente impiegato in missioni di esplorazione sul mare a largo raggio finalizzate alla scoperta dei cennati traffici illeciti, in situazioni contingenti svolge compiti connessi all’identificazione e monitoraggio di aree marittime in cui possa essersi verificato inquinamento da idrocarburi: nello speciale assetto antinquinamento, sul mezzo viene installato l’apparato elettronico «Daedalus AA 3500», che é uno spettografo ad alta tecnologia che, installato su aerei, consente la rilevazione di aree inquinate e la determinazione del tipo di sostanze inquinanti.



Il funzionamento di tale «sensore aviotrasportato» é basato sull’analisi spettrale «bicanale» operando, infatti, nel campo dell’infrarosso (IR) e nell’ultravioletto (UV). Mediante un sistema di raggi IR ed UV, individua la presenza di idrocarburi, tenendo conto della differenza di temperatura con l’acqua.



I dati raccolti sono poi digitalizzati e memorizzati su un supporto magnetico per successive elaborazioni al computer.



Questo procedimento permette di identificare con precisione l’area totale inquinata nonché lo spostamento dell’inquinamento e di orientare le successive azioni di recupero ambientale dei mezzi disinquinanti .



La Guardia di Finanza si é spesso avvalsa della strumentazione in rassegna, acquisendo un notevole bagaglio di esperienza in più settori di intervento, dai controlli su vaste zone del mare alle missioni nei casi di disastri ecologici e di ricerca di discariche abusive sul territorio.



Il primo impiego operativo del sistema «Daedalus» risale al dicembre del 1992 in occasione del naufragio nelle acque spagnole della petroliera greca «Agean Sea», a seguito della quale si riversarono sulla costa atlantica della Galizia, nelle acque prospicienti la città di La Coruna, oltre 80.000 tonnellate di petrolio greggio.



Alle operazioni effettuate per contenere il disastro ecologico, la Guardia di Finanza partecipò, su richiesta del Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici spagnolo - Direzione Generale della Marina Mercantile -, con due aereomobili dotati del citato sistema di telerilevamento in assetto antinquinamento, ottenendo l’apprezzamento per l’impegno profuso ed i risultati ottenuti a supporto della difficile opera di disinquinamento[26].







6. Conclusioni.



L’esame delle norme contenute nella Convenzione di Montego Bay, porta ad affermare la rilevanza assunta della tutela dell’ambiente marino, non più limitata all’interesse del singolo Stato costiero bensì estesa a tutti gli Stati, marittimi e non, onde garantire il prevalere di un interesse generale della Comunità internazionale alla preservazione della propria integrità ecologica.



Il carattere pubblicistico dei poteri ed il carattere erga omnes degli obblighi in materia d’inquinamento[27], nonchè il loro stretto collegamento con l’interesse collettivo della Comunità internazionale, ha trovato ingresso nella Convenzione in rassegna con due nuovi istituti, quali il potere d’intervento dello Stato costiero in alto mare in caso di inquinamento massiccio[28] ed il potere dello Stato del porto nei confronti di navi che entrino in porto dopo aver prodotto un inquinamento elevato dell’ambiente marino, senza nulla rilevare la circostanza che le acque inquinate siano o meno sottoposte alla giurisdizione di tale Stato[29].



Tali istituti rappresentano l’esempio tangibile della portata delle trasformazioni subite dalla normativa internazionale in materia di protezione del mare contro l’inquinamento.



Il salto di qualità compiuto dalla citata normativa, in conclusione, può riassumersi nella considerazione che, nel preminente interesse generale della Comunità internazionale, la materia dell’inquinamento marino tende ad affrancarsi da qualsiasi collegamento con l’esercizio della potestà di governo esplicata a titolo spaziale, connaturandosi invece come esercizio di poteri pubblicistici conferiti agli Stati e, parallelamente, agli obblighi erga omnes su di essi gravanti in siffatta materia.











M. Marco Angeloni



Angelo Senese





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[1] In particolare, la normativa internazionale relativa alla protezione dell’ambiente trae le sue origini dalla sentenza arbitrale del 1941 nella controversia tra Stati Uniti e Canada sul caso della Fonderia di Trail. Nel relativo compromesso d’arbitrato, il Canada riconosce espressamente di aver violato gli obblighi internazionali su di lui gravanti, ponendo il primo principio di diritto internazionale generale nella materia secondo il quale ciascuno Stato, nella utilizzazione del proprio territorio, ha l’obbligo di non arrecare danno al territorio di altro Stato. Cfr. testo sentenza arbitrale dell’11 marzo 1941 in Nations Unies, Recueil des sentences arbitrales. vol. II, p. 1905 ss.. Per una approfondita analisi di questa sentenza e della sua portata nell’evoluzione della protezione dell’ambiente marino cfr. A. KISS, Droit international de l’environnement, Parigi, 1989, p. 72 ss..



[2] Tale convenzione é stata poi modificata a seguito degli emendamenti adottati dall’Assemblea dell’O.M.C.I. l’11 aprile 1962, il 21 ottobre 1969, il 12 ed il 15 ottobre 1971.



[3] La Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo contro l’inquinamento é del 16 febbraio 1976, ad essa si collegano i seguenti Protocolli: sullo scarico da navi e da aeromobili (Barcellona, 16 febbraio 1976, entrato in vigore il 12 febbraio 1978); sulla cooperazione in caso di situazione critica (Barcellona 16 febbraio 1976, entrato in vigore il 12 febbraio 1978); sull’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980, entrato in vigore il 17 giugno 1983); sulla individuazione delle aree specialmente protette (Ginevra 3 aprile 1982, entrato in vigore il 23 marzo 1986). Un quinto Protocollo, relativo alla protezione del Mare Mediterrraneo contro l’inquinamento risultante dall’esplorazione e lo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del sottosuolo ( Atene, 8-11 gennaio 1991) é in via di adozione. Per la Convenzione ed i Protocolli cfr. anche U. LEANZA (ed.), Le Convenzioni sulla protezione del Mediterraneo contro l’inquinamento marino, Napoli 1992, p. 215 ss..



[4] La Dichiarazione scaturita dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente umano, svoltasi a Stoccolma nel 1972, si inquadra nel contesto degli atti internazionali in cui i problemi dell’ambiente sono considerati in un quadro unitario, dando luogo all’enunciazione di princìpi e di programmi. Alla loro attuazione, mediante una regolamentazione di dettaglio, la successiva azione concertata degli Stati e delle organizzazioni internazionali risulta essenzialmente diretta: si tratta dei cosiddetti «atti-cornice».



Tra gli aspetti maggiormente significativi della Dichiarazione va segnalato l’affermarsi di una concezione dell’ambiente considerato come «patrimonio comune dell’umanità», qualificazione che negli atti successivamente adottati ha avuto numerose e solenni conferme.



Altro tratto caratteristico della Dichiarazione deriva dal convincimento che l’ambiente costituisca un tutto indivisibile: i relativi problemi vanno quindi affrontati in un contesto unitario, in base al principio di «solidarietà fondamentale» tra i diversi elementi (acqua, aria, terra, esseri viventi) che lo compongono.



[5] In particolare nel principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma si legge che gli Stati «(...) hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse secondo la loro politica ambientale ed hanno l’obbligo di fare in modo che le attività esercitate sotto la loro giurisdizione o controllo non cagionino danni all’ambiente degli altri Stati o di altre Regioni» (gli Atti della Conferenza di Stoccolma furono sottoscritti da ben centodieci Stati tra cui l’Italia).







[6] Il 16 novembre 1994, dodici mesi dopo il deposito del sessantesimo strumento di ratifica da parte della Guyana é entrata in vigore la Convenzione di Montego Bay, contestualmente all’Accordo integrativo, concluso a New York il 29 luglio 1994, modificativo della Parte XI della Convenzione stessa. Numerosi Stati anche industrializzati, tra i quali é da annoverare l’Italia, hanno ratificato i due strumenti convenzionali, realizzando in tal modo una partecipazione qualificata sia dei paesi Paesi industrializzati che dei Paesi in via di sviluppo al nuovo ordine internazionale dei mari.



L’Accordo integrativo, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riunita in seduta straordinaria, il 28 luglio 1994, con 121 voti favorevoli, nessuno contrario e 7 astensioni (Colombia, Nicaragua, Panama, Perù, Russia, Thailandia, Venezuela), si applica a titolo provvisorio fino al 15 novembre 1998, nei confronti di tutti gli Stati che hanno partecipato all’adozione della Risoluzione dell’A.G., a meno di una loro dichiarazione contraria (cfr. A/RES/48/263). Quarantuno Stati, oltre l’Unione Europea, hanno proceduto immediatamente alla firma dell’Accordo in questione (cfr. Nations Unies, Division des affaires maritimes et du droit de la mer, Bureau des affaires juridiques, Bulletin du droit de la mer, Numero spécial IV, 16 novembre 1994).



Il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica e la successiva esecuzione della Convenzione di Montego Bay con legge 2 dicembre 1994, nr. 689, in G.U. Suppl. ord., 19 dicembre 1994, nr. 295, pag. 3 e ss.. Successivamente, il 12 gennaio 1995, l’Italia ha depositato presso il Segretario generale delle N.U. il proprio strumento di ratifica.



[7] La Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare dedica alla protezione ed alla preservazione dell’ambiente marino l’intera Parte XII, distinta in ben 11 Sezioni e 46 articoli, dal 192 al 237. In essa, dopo le disposizioni generali in materia, sono riportate disposizioni sulla cooperazione mondiale e regionale, all’assistenza tecnica, alla sorveglianza continua ed alla valutazione ecologica, alla regolamentazione internazionale ed interna mirante a prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento dell’ambiente marino, alla loro applicazione, alle loro garanzie, alle zone ricoperte dai ghiacci, alla responsabilità, alle immunità, ed agli obblighi derivanti da altre convenzioni sulla protezione e la preservazione dell’ambiente marino.



Per maggiori approfondimenti, vd. M.MARCO ANGELONI - ANGELO SENESE : «PRINCIPI APPLICATIVI DEI PRINCIPALI ISTITUTI DEL NUOVO DIRITTO DEL MARE»-ed.CACUCCI –BARI 1998 pp.59/75.







[8] In tal senso, STARACE, La protezione dell’ambiente marino nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, in Diritto Internazionale e protezione dell’ambiente marino, Milano 1983, pag. 804. TREVES, La Convenzione della Nazioni Unite sul diritto del mare del 10.12.1992, Milano, 1983, pag.48.







[9] Possono qui ricordarsi: Convenzione sulla responsabilità civile degli esercenti di navi nucleari, firmata a Bruxelles il 25.5.1962; Convenzione sull’intervento in alto mare in caso di incidente che comporti o possa comportare un inquinamento da idrocarburi, adottata a Bruxelles il 29.11.1969; Trattato sul divieto di collocare armi nucleari ed altre armi di distruzione massiva sul fondo e nel sottosuolo dei mari e degli oceani, adottato a New York il 7.12.1970; Convenzione sulla responsabilità civile nel campo del trasporto marittimo di materiale nucleare, adottata a Bruxelles il 17.12.1971; Convenzione internazionale sulla creazione di un Fondo internazionale per il risarcimento dei danni conseguenti ad inquinamento da idrocarburi, firmata a Bruxelles il 18.12.1971; Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento marino da scarico di rifiuti ed altre sostanze, adottata a Londra il 13.11.1972; Protocollo relativo all’intervento in alto mare nei casi di inquinamento da sostanze diverse dagli idrocarburi, firmato a Londra il 2.11.1973; Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi, adottata a Londra il 2.11.1973. Accordo concernente la cooperazione in materia di lotta contro l’inquinamento da idrocarburi delle acque del Mare del Nord, firmato a Bonn il 9.6.1969; Accordo relativo alla cooperazione per l’adozione di misure contro l’inquinamento marino da idrocarburi, firmato a Copenhagen il 16.9.1971; Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento marino da scarico di navi ed aerei, firmata a Oslo il 15.2.1972; Accordo sulla collaborazione per la salvaguardia dagli inquinamenti delle acque del mare Adriatico e delle zone costiere fra Italia e Jugoslavia, firmato a Belgrado il 14.2.1974; Convenzione sulla protezione dell’ambiente, firmata a Stoccolma il 19.2.1974; Convenzione per la protezione dell’ambiente marino dell’area del mar Baltico, firmata a Helsinki il 22.03.1974; Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento marino di provenienza terrestre, firmata a Parigi il 4.6.1974; Convenzione per la protezione del mar Mediterraneo contro l’inquinamento, adottata a Barcellona il 16.2.1976; Protocollo relativo alla prevenzione dell’inquinamento del Mar Mediterraneo causato dalle operazioni di scarico effettuate da navi e aeromobili, adottato a Barcellona il 16.2.1976; Protocollo relativo alla cooperazione in materia di lotta contro l’inquinamento del Mar Mediterraneo da idrocarburi e altre sostanze nocive in caso di situazione critica, adottato a Barcellona il 16.2.1976; Accordo tra Francia, Italia e Monaco relativo alla protezione delle acque del litorale Mediterraneo, firmato a Monaco il 16.5.1976; Convenzione sulla responsabilità civile per i danni causati da inquinamento da idrocarburi conseguente all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse minerali del fondo marino, adottata a Londra il 17.12.1976; Convenzione regionale del Kuwait sulla cooperazione per la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento, firmata a Kuwait il 24.4.1978; Protocollo concernente la cooperazione regionale nella lotta contro l’inquinamento da idrocarburi ed altre sostanze nocive in situazioni di emergenza, firmato a Kuwait il 24.4.1978; Accordo di cooperazione tra l’Italia e Grecia sulla protezione dell’ambiente marino del mar Jonio e delle sue zone costiere, firmato a Roma il 6.3.1979; Accordo tra Italia e Grecia sulla delimitazione delle zone di piattaforma continentale proprie a ciascuno dei due Stati, firmato ad Atene il 24.5.1977; Protocollo relativo alla protezione del Mar Mediterraneo contro l’inquinamento di provenienza terrestre, firmato ad Atene il 17.5.1980. I testi di questi accordi sono anche riprodotti in italiano in V. STARACE - A. F. PANZERA (eds), La protezione internazionale del mare contro l’inquinamento, Milano, 1983



[10] L’inquinamento da fonti terrestri é senza dubbio molto accentuato per quanto riguarda il Mar Mediterraneo che costituisce lo sbocco di alcuni grandi fiumi, come il Rodano, il Po ed il Nilo, che scaricano enormi masse di acqua e spesso portano flussi considerevoli di inquinamento. Ed anche il Danubio attraverso il Mar Nero, che presenta un livello del mare più elevato rispetto al Mediterraneo, finisce con lo scaricare le proprie acque nel bacino più vasto. I principali scarichi di residui terrestri nel Mediterraneo sono prodotti dalle industrie e dai centri urbani e tali scarichi sono localizzati particolarmente nel Mediterraneo nord-occidentale, principalmente nell’area di Barcellona, nei complessi portuali ed industriali di Fos-Berre, nei pressi di Marsiglia, nella zona di Genova e nel nord-Adriatico e, in maniera più limitata, dall’industria nell’area di Atene e sulle coste israeliane e libanesi. La costa Mediterranea é infatti ancora poco attrezzata nel settore dei piani per il trattamento delle acque di scarico.



[11] TREVES (La pollution résultant de l’exploration et de l’exploitation des fonds marins en droit international, in Annuaire francais de droit international, 1978, pag. 828) individua varie forme di inquinamento a seconda delle attività condotte nei fondi marini. Nel caso di attività di estrazione di petrolio e di gas naturale, é possibile individuare un inquinamento operativo, causato dalle normali operazioni di sfruttamento ( ad esempio, perdita di petrolio o di gas naturale) ed uno accidentale causato dall’esplosione dei pozzi. Tuttavia, l’inquinamento può essere causato anche dal dragaggio, ad esempio, della sabbia o dei noduli polimetallici. Infine, casi di inquinamento possono essere causati anche dalla semplice messa in opera delle attrezzature per procedere all’esplorazione ed allo sfruttamento del suolo e del sottosuolo marini.



[12] Per un interessante spunto in tema di inquinamento causato dall’esplorazione e dallo sfruttamento dei fondali marini vgs., Ida CARACCIOLO, «La responsabilità dello Stato per l’inquinamento dovuto all’esplorazione ed allo sfruttamento dei fondali marini, in Il Diritto marittimo, anno 1991 pag. 616 e segg.



[13] Art. 136 della Convenzione di Montego Bay.



[14] Le risorse minerarie dei fondali marini profondi consistono nei noduli polimetallici che sono localizzabili nelle piane abissali a profondità tra i 4.000 ed i 6.000 metri. Tali noduli si presentano parzialmente affondati nelle argille e nei fanghi del fondo e ricoprono come una coltre, centinaia e centinaia di chilometri di fondali marini dove la penetrazione dei raggi solari é quasi nulla, la temperatura sfiora lo zero e la pressione atmosferica raggiunge valori elevatissimi. Più in particolare, essi sono diffusi con diverse intensità nel Pacifico centrale, in quello meridionale, nell’Atlantico di fronte al Brasile e nell’Oceano indiano a sud-est del Capo di Buona Speranza. Sono denominati noduli polimetallici in quanto consistono in un aggregato di diversi materiali, quali manganese, nickel, rame e cobalto.



[15] Come é noto, l’Impresa e gli Stati o le società da questi patrocinate (entità statali, persone fisiche o giuridiche aventi la nazionalità dello Stato patrocinatore od effettivamente controllate da tale Stato o dai cittadini di tale Stato) devono presentare all’Autorità dei piani di lavoro che devono comprendere due operazioni di estrazioni in due settori equivalenti. L’Autorità, con l’approvazione dei suddetti piani di lavoro, conferisce al richiedente un diritto esclusivo di sfruttamento per una delle due parti, mentre nell’altra, le attività minerarie saranno condotte dall’Autorità attraverso l’Impresa od in associazione con gli Stati in via di sviluppo.



[16] Art. 145 della Convenzione di Montego Bay. Protezione dell’ambiente marino. «Per quanto concerne le attività condotte nell’Area, devono essere adottate, conformemente alla presente Convenzione, le misure necessarie ad assicurare efficacemente la protezione dell’ambiente marino dagli effetti nocivi che potrebbero derivare da dette attività. A tale scopo l’Autorità adotta norme, regolamentari e procedure appropriate tendenti, tra l’altro, a:



a) prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento e gli altri rischi cui é sottoposto l’ambiente marino, ivi compreso il litorale, nonché ogni interferenza nell’equilibrio ecologico dell’ambiente marino, dedicando una particolare attenzione alla esigenza di proteggere tale ambiente dagli effetti nocivi derivanti da attività quali la trivellazione, il dragaggio, lo scavo, l’eliminazione dei rifiuti, la costruzione e l’attivazione o la manutenzione di installazioni, di oleodotti e di altre strutture collegate a dette attività;



b) proteggere e conservare le risorse naturali dell’Area e prevenire i danni alla flora e alla fauna dell’ambiente marino».



[17] Art. 4 del Protocollo ed Allegato I. Tra le sostanze il cui scarico in mare é assolutamente vietato, (comprese nella c.d. lista nera) rientrano, ad esempio, il mercurio, il cadmio, gli idrocarburi ed i rifiuti con un livello alto-medio-basso di radioattività.



[18] Art. 5 del Protocollo ed Allegato II (c.d. lista grigia).



[19] Art. 6 del Protocollo.



[20] La MARPOL é stata ratificata dall’Italia nel 1980 ed é in vigore dal 1983. A tale Convenzione sono allegati tre Protocolli: i primi due concernenti rispettivamente, i rapporti sugli incidenti che comportino o possano comportare lo scarico di sostanze nocive e le condizioni del ricorso all’arbitrato, adottati contemporaneamente alla Convenzione; il terzo, approvato nel 1978 dalla Conferenza internazionale sulla sicurezza delle cisterne e la prevenzione dall’inquinamento. La norma 10 del Protocollo in questione, ai fini dell’individuazione dei metodi di prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi dovuto a navi, detta una disciplina particolare per le «zone speciali», tra le quali é incluso il Mediterraneo.







In data 1° Luglio 1997 sono entrati in vigore, a livello internazionale, secondo la procedura di cui all’art.16 (2) (g) (ii) della Convenzione MARPOL 73/78, i seguenti emendamenti alla Convenzione medesima:



- Modifica al testo della Regola 2 dell’Annesso V alla MARPOL 73/78;



- Introduzione di una nuova Regola 9 dell’Annesso V alla MARPOL 73/78 che prevede:



a) l’obbligo per tutte le navi uguali o superiori a 400 Tonn. di stazza, e, per quelle abilitate al trasporto di 15 persone o più, impegnate in viaggi verso porti e terminali off-shore rientranti nella giurisdizione di altre Parti alla Convenzione, nonché per ogni piattaforma fissa o mobile impegnata nell’esplorazione e nello sfruttamento delle risorse poste sul fondo marino, di avere a bordo un Registro dei Rifiuti;



b) l’obbligo per tutte le navi, uguali o superiori alle 400 Tonn. di stazza, e, per quelle abilitate al trasporto di 15 persone o più, di avere a bordo un piano per la gestione e il controllo dei rifiuti secondo Linee Guida predisposte dall’I.M.O..







I suddetti emendamenti sono stati adottati in Londra il 14.9.1995 nel corso della 37^ Sessione del Comitato Protezione Ambiente Marino con Risoluzione MEPC.65 (37).







L’Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare, con Decreti Direttoriali in data 25 agosto 1997, ha approvato il Modello del Registro dei Rifiuti, di cui all’Appendice della citata Risoluzione MEPC.65 (37), nonché le Linee Guida per lo Sviluppo di Piani per la Gestione e il Controllo dei Rifiuti a bordo delle navi adottate in Londra il 10 luglio 1996 con Risoluzione MEPC. 70 (38) nel corso della 38^ Sessione del Comitato MEPC.







In data 1° gennaio 1998 entrerà in vigore a livello internazionale, secondo la procedura di cui all’art. 16 (2) (f) (iii) e (g) (ii) della Convenzione Internazionale MARPOL 73/78, un emendamento al Protocollo I della medesima Convenzione, adottato in Londra il 10 Luglio 1996 nel corso della 38^ Sessione con Risoluzione MEPC.67 (38).







L’emendamento consiste in una modifica del testo dell’art. II (1) riguardante le ipotesi in cui, in caso di incidente navale, deve essere redatto rapporto.







In data 1° luglio 1998 entreranno in vigore a livello internazionale secondo la procedura di cui all’art. 16 (2) (f) (iii) e (g) (ii) della Convenzione MARPOL 73/78:



- Emendamenti ai Capitoli 16,17,18 del Codice Internazionale per la costruzione e l’equipaggiamento di navi che trasportano prodotti chimici pericolosi alla rinfusa (IBC Code) adottati in Londra il 10 luglio 1996 nel corso della 38^ Sessione del Comitato Protezione Ambiente Marino con Risoluzione MEPC. 68 (38);

- Emendamenti al Capitolo IV del Codice per la costruzione e l’equipaggiamento di navi che trasportano prodotti chimici pericolosi alla rinfusa (BCH Code) adottati in Londra il 10 luglio 1996 nel corso della 38^ Sessione del Comitato Protezione Ambiente Marino con Risoluzione MEPC. 69 (38).




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